GIOVEDÍ 26 MAGGIO – ORE 20:45
TEATRO SAN CARLINO – BRESCIA

Così lontano, così vicino.

Gli esodi del nostro tempo, attraverso lo sguardo e le parole di Nello Scavo

MARCO DOTTI, direttore editoriale di EMI,
dialoga con NELLO SCAVO, inviato speciale di Avvenire

Come sapientemente osservava il poeta polacco Adam Zagajewski, i profughi del nostro tempo si somigliano un po’ tutti. Se ne vanno taciturni, piegati da un peso che non sempre si vede, nel fango o nella sabbia del deserto. C’è sempre un carretto, c’è sempre troppo vento, troppo sole, troppa neve. E quel caratteristico curvarsi, come verso un altro pianeta, migliore, con generali meno ambiziosi, meno cannoni, meno neve, meno vento, meno Storia.
Per raccogliere la testimonianza di chi fugge da una condizione insostenibile e prova a sottrarsi a questo ripetersi inesorabile della Storia, un giornalista deve fare il movimento contrario, andare sul posto, con passione e coraggio. E poi deve saper guardare e raccontare, trovare le parole giuste. «Ma non esistono parole giuste per raccontare una guerra». Si può solo provare a registrare fedelmente quello che accade, in presa diretta.
Dopo il racconto degli esodi attraverso il mare e oltre il deserto, nel suo ultimo libro Kiev, edito da Garzanti, Nello Scavo ci parla della guerra nel cuore d’Europa e di un altro disperato esodo, quello dalle città ucraine. Una sorta di diario personale nei giorni del conflitto scoppiato il febbraio scorso, scritto mettendo assieme i pezzi di una guerra vissuta dall’interno, una guerra che sembrava lontana, e che invece è ancora spaventosamente così vicina.

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